Sovente parte dagli occhi, ma non è l’unico modo; è un collegamento sottile, non richiede un contatto, né parole; è difficile da descrivere, ma è inconfondibile: è una vicinanza, un sentirsi capiti, è un sentirsi a casa.
Contrariamente a quanto si pensi, parte da sé stessi, dallo stare con la propria intimità; accettare le parti scomode di sé, accoglierle senza giudizio. Più è diretto questo contatto, migliore sarà poi la connessione con gli altri; limpida, senza confusioni.
Questo primo passo verso la nostra intimità lo facciamo noi, non altri; spesso non possiamo iniziare da soli, però. È utile incontrare qualcuno che ci avvicina senza secondi fini, disposto a incontrare la parte buia di noi senza spavento, vergogna o giudizio.
La connessione pura è terapeutica; ho visto che aiuta a curare le ferite più antiche, quelle che ancora dolgono e che a tratti sanguinano ancora.
È strana la condizione umana: le ferite più profonde sono una delle fonti più grandi di sofferenza e di ricchezza, allo stesso tempo.